Il 17 ottobre, in un seminario organizzato da CIDI di Napoli, con il contributo delle associazioni ADI-SD e INSEF, nella magnifica sala monumentale del Liceo “Genovesi” di Napoli, Domenico Chiesa e Cristiano Corsini si sono confrontati intorno alla domanda “Che cosa resta della scuola pubblica democratica” a 50 anni dai Decreti delegati e a 25 anni dal Regolamento dell’Autonomia scolastica [1].
Un doppio anniversario che richiede lo sforzo di ragionare anche sulle parole-chiave che di quelle norme erano il cuore (e la scommessa) orizzontalità e partecipazione, formazione permanente, valutazione formativa ricerca e sviluppo.
Ho avuto la fortuna di moderare il dialogo e cercherò di sintetizzarne qui alcuni dei nodi, pur consapevole di non essere in grado di riprodurne la ricchezza, legata all’adozione da parte dei due relatori di un punto di vista allo stesso tempo storico e critico, foriero di molteplici riflessioni e ulteriori (future) aperture.
Domenico Chiesa ha approfondito l’evoluzione progressiva della visione “politica” della scuola, che ci deve costringere a ripensare i cambiamenti attualmente in corso, per poter andare in direzione di un “reale” cambiamento, che non venga ridotto al mito dell’innovazione. Una scuola “innovativa” non è di per sé innovatrice, in assenza di un pensiero e una visione politica e pedagogica che la guidi. Negli anni Settanta quel pensiero forte c’era, e determinò l’ humus politico favorevole alla trasformazione del sistema, anticipata negli anni Sessanta dalla riforma della scuola media unica [2]. Se si sceglie la via della rinuncia, ha spiegato Chiesa, e si ritorna ad un passato in cui si propongono percorsi divaricati, uno per l’élite e l’altro destinato a produttori-consumatori (come sta accadendo con la riforma dei professionali voluta dal ministro Valditara[3] non solo si svilisce il senso del percorso sinora compiuto, ma anche la vocazione stessa dell’essere maestri. I segnali preoccupanti che vengono dalle riforme più recenti non possono perciò essere sottovalutati in nome di una rincorsa all’innovazione. Non basta essere tecnicamente bravi, aggiornati sulle nuove tecnologie, non basta nemmeno essere professionisti democratici: si deve tornare all’idea, politico-pedagogica, di una scuola che come Istituzione ha avuto dallo Stato il compito di contrastare l’ignoranza, e di farlo attraverso l’istruzione. Alcuni concetti, secondo Chiesa, vanno ribaditi, concetti che al tempo dei Decreti Delegati si fecero largo ed oggi rischiano di apparire offuscati:
1) la scuola è un laboratorio di democrazia;
2) la scuola è e deve essere una meravigliosa esperienza per bambini e bambine, ragazzi e ragazze: deve essere uno spazio e un tempo dove si provi piacere e desiderio;
3) a scuola nessuno è straniero.
Se l’autonomia scolastica, intesa come “decentramento intelligente” e come assunzione di responsabilità diretta, era ciò che serviva alla scuola dei Decreti Delegati per realizzarsi, e non è bastato, oggi bisognerà investire sul cambio di generazione, dei docenti e degli allievi: la politica può ancora incontrare il “fare scuola” degli insegnanti, ha concluso Chiesa, rilanciando con “moderato ottimismo” (queste le sue parole) sulla ripresa di una visione politica da parte degli insegnanti, che devono essere però stabili e motivati sul “curricolo”.
Proseguendo lungo questa linea di ragionamento, Cristiano Corsini ha posto al centro del suo intervento sulla valutazione la parola “perché”: quali sono le ragioni per cui si valuta e quali sono le questioni che fanno da substrato ai continui passaggi tra modelli di valutazione a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni? Negli anni Settanta, accanto ai Decreti delegati, con la Legge 517/1977 si imponeva finalmente un’idea della valutazione formativa: l’aggettivo non si riferisce, ha precisato Corsini, agli studenti, o almeno non solo ad essi. La valutazione doveva, anzi deve essere formativa in primis per gli insegnanti, laddove essi intendano farne uno strumento di miglioramento e non di selezione, di scoperta e non di puro potere. Gestire il potere della valutazione per farne lo strumento per un insegnamento più equo ed efficace, che inneschi processi di trasformazione nel soggetto che apprende, non è possibile se essa si riduce a voti (o giudizi sintetici, che è lo stesso) emessi allo scopo di misurare o classificare. Non è un caso, osserva Corsini, che ogni volta che si mette mano a questa materia, si insiste sempre sul “come si valuta”, sui suoi modi e non sulle sue ragioni.
Secondo lo studioso, attraverso i nostri giudizi di valore, rischiamo di ridurre le cose alle quali diamo valore alle loro misure o alle loro valutazioni; rischiamo di iniziare a desiderare solo ciò che è valutabile e misurabile e, ancora, rischiamo, attraverso la misurazione e la valutazione, di imporre ad altri soggetti i nostri valori, con pessime conseguenze.
Corsini ha ricordato la lettera al Corriere della Sera del 2008 con cui l’allora Ministro del Bilancio Giulio Tremonti si esprimeva a favore del ritorno al voto numerico (che fu reintrodotto di lì a poco dalla riforma Gelmini): “(…) I numeri sono una cosa precisa, i giudizi sono spesso confusi. Ci sarà del resto una ragione perché tutti i fenomeni significativi sono misurati con i con i numeri. Un terremoto è misurato con i numeri della scala Mercalli o Richter […]. La mente umana è semplice e risponde a stimoli semplici. […] Se gli stessi fenomeni […] fossero espressi non con i numeri ma attraverso frasi complesse con finalità descrittive, il messaggio resterebbe impreciso.”[4]
Incredibile a distanza di anni rileggere quelle parole così “imprecise” e errate (come confondere la scala Richter con quella Mercalli, che è descrittiva e valutativa!), parole da cui è dipeso il destino e il percepito della/sulla scuola per diversi anni: ma l’idea che lo scopo della valutazione sia misurare, che è il cuore del ragionamento tremontiano, non è stata di certo abbandonata nelle riforme successive e torna oggi prepotentemente con la L. 150/2024, che, oltre ad occuparsi della famigerata condotta, e dei suoi voti, reintroduce il cosiddetto “giudizio sintetico” al fianco dei livelli descrittivi nella scuola primaria.
In questo modo, viene da osservare a chi scrive, si confondono due diversi orientamenti sulla valutazione: essa torna ad essere intesa come il “fine” per far competere e per comparare tra loro individui e contesti piuttosto che come il “mezzo” per regolare i processi di insegnamento/apprendimento. [5]
Corsini ha anche illustrato alcuni dei momenti storici, che potremmo definire genetici, dell’idea della valutazione come selezione: alla scuola dei Gesuiti, che per primi allargarono la platea dei discenti e abolirono le punizioni corporali, si rese necessario, al fine di ridurre il numero degli studenti, distinguerli in “optimi”, “dubii” e “inepti” (questi ultimi da espellere, ovviamente). Non diversamente, nei registri del Regio Liceo Botta di Ivrea del 1773, si trovano giudizi sintetici di grande interesse e non solo per i filologi: dall’allievo definito “il primo di tutti” si passa al gruppo di alunni definiti “migliori degli altri”, ai “buoni”, ai “mediocri” fino ad arrivare a due o tre malcapitati “da tolerarsi”.
Lo strumento valutativo, ha spiegato lo studioso, può essere gestito in maniere profondamente differenti: dall’assenza radicale di trasparenza (il modello della “monarchia assoluta” tipico della scuola tradizionale), si può passare ad una condivisione trasparente e partecipata del giudizio che si avvalga anche e soprattutto dell’autovalutazione da parte degli studenti (modello della “democrazia partecipativa”) . Formulare e condividere con la classe obiettivi di apprendimento e rigorosi criteri di valutazione rende sostenibile per chi insegna il ricorso alla valutazione descrittiva e migliora gli apprendimenti e il clima di classe.
Ma perché ciò accada ci si deve liberare della “tirannia del voto” che è tuttora largamente diffusa: si tratta di un grande fraintendimento, e non è necessario, ha concluso Corsini, passare ex abrupto alla scuola “senza voti”, pretendendo di sovvertire il sistema e spaventando così i più conservatori: può bastare ricordarsi che non è affatto vero che per giungere al voto finale sia necessario distribuire un “congruo numero” di voti intermedi. Un’attenta valutazione descrittiva in itinere può rendere più chiaro e rigoroso il voto che si è costretti ad assegnare a fine periodo e a fine anno: a tal fine, è importante anche saper pretendere da studentesse e studenti un’autovalutazione rigorosa del proprio apprendimento.
Annotare sul registro un “congruo numero” di voti non è quello che ci impone la legge, ma solo la prassi. E quando le leggi sono più avanti delle prassi, come lo furono i Decreti Delegati, le strade sono due: o portiamo avanti, migliorandole, le prassi, o riportiamo indietro le leggi.
Come purtroppo sta accadendo sotto i nostri occhi, se non ci decidiamo a combattere.
[1] Discesi dalla legge delega n.477 del 30 luglio 1973, il DPR 31 maggio 1974 n.416: "Istituzione e riordinamento di organi collegiali della scuola materna, elementare, secondaria e artistica"; n. 417: "Norme sullo stato giuridico del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato"; n. 418: "Corresponsione di un compenso per lavoro straordinario al personale ispettivo e direttivo della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica"; n. 419: "Sperimentazione e ricerca educativa, aggiornamento culturale e professionale ed istituzione dei relativi istituti"; n.420 “Norme sullo stato giuridico del personale non insegnante statale delle scuole materne, elementari, secondarie ed artistiche . Personale in servizio nelle istituzioni scolastiche all'estero" (mai promulgato).
L’autonomia scolastica diventa legge con la cd. Bassanini (Legge n.59/1997) , e viene regolamentata con il DPR n.275/1999 “Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell'art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59”
[2]Legge n. 1859 del 31 dicembre 1962.
[3] il Ddl di riforma dell’istruzione tecnico-professionale, che introduce il modello della filiera del 4+2 è stato approvato in via definitiva alla Camera il 31 luglio 2024. Si legga anche il bel volume “La Scuola e il Lavoro” del CIDI di Torino (Impremix Edizioni, Torino, 2024), presentato in un dibattito online nello spazio di “insegnare”. Sullo stesso tema, si legga anche il contributo di Marilena Fera.
[4] Corriere della Sera, “Il passato e il buon senso”, 22/08/2008
[5] Del resto l'intera storia della valutazione e soprattutto dei suoi strumenti di descrizione degli esiti all'esterno è complessa e tormentata, come su questa stessa rivista ha più volte ricordato Mario Ambel.