Home - la rivista - cultura e ricerca didattica - Della necessità dell’Intervallo

racconti di scuolacultura e ricerca didattica

25/07/2025

Della necessità dell’Intervallo

di Paola Conti

Provate a pensare alla parola "intervallo". Cosa vi viene in mente? Se siete sportivi penserete ad una pausa tra un tempo e l’altro di una partita; se siete insegnanti vi verrà in mente quel momento della mattinata in cui vengono sospese le attività didattiche. In entrambi i casi la parola "intervallo" rimanda ad un tempo apparentemente vuoto, al tempo in cui non si fanno le cose che si facevano prima e dopo quel tempo; un tempo declinato in negativo, che (appunto) nega l’azione. Ma è davvero così? Nello sport, che rappresenta forse la più efficace metafora del modo performativo con cui noi tutti affrontiamo la nostra esistenza, l’intervallo è il tempo in cui i giocatori “vanno negli spogliatoi a bere un tè caldo”. Quel tempo serve loro per riposare prima di affrontare un nuovo sforzo ma anche per riacquistare concentrazione, parlare con i compagni e con l’allenatore, condividere stati d’animo e strategie. Tutt’altro che un tempo vuoto, dunque! E per gli spettatori? Anche loro approfittano di quel tempo per una riconquista (spesso inconsapevole) delle loro funzioni vitali primarie: c’è chi va in bagno, chi beve o mangia qualcosa, chi si alza dal divano e si sgranchisce le gambe. Anche se siete al cinema o a teatro è lo stesso: durante la visione del film o lo svolgimento dell’azione drammatica, ciascuno di noi è così coinvolto in ciò che sta vedendo o ascoltando che “si dimentica” di aver sete. L’intervallo gli fornisce l’occasione per accorgersi di nuovo di sé, per riappropriarsi del proprio essere individuale che era stato momentaneamente sostituito dal ruolo collettivo che, insieme agli altri spettatori, ciascuno stava interpretando. Durante l’intervallo si smettono i panni del tifoso o del pubblico pagante e si ritorna persone.
E in questa logica di espressione di sé possiamo leggere anche l’intervallo che si fa a scuola. Finché dura la lezione i bambini e i ragazzi sono alunni di quella classe; appena suona la campanella tornano individui svincolati dalla situazione performativa rappresentata dalla spiegazione o dall’interrogazione o dal compito. C’è chi corre come una pallina impazzita dentro un flipper, chi aggredisce il primo che gli capita a tiro perché quello è il suo modo di sciogliere una pressione troppo a lunga mantenuta, chi non si alza dal banco perché non sa che fare in quel breve vuoto di autorità o perché trova, in mezzo a quel bailamme, il suo spazio di concentrazione. E poi ci sono quelli che approfittano di quel tempo limitato e compresso ma pur sempre più libero per parlare, tra un boccone di merendina e l’altro, di ciò che più sta loro a cuore, di ciò che davvero trovano interessante. Anche il linguaggio sottolinea il passaggio, passando (appunto) dall’uso di nomi comuni plurali all’uso dei nomi propri. Durante la lezione l’insegnante per lo più richiama i suoi alunni: “Allora bambini ….”; Su ragazzi, attenzione ….”. Nell’intervallo richiama Giovanni che corre senza guardare dove va rischiando di travolgere Lucia; “Agata perché non mangi la tua colazione, ti senti male?”
Nella Scuola dell’Infanzia l’intervallo non c’è. Il buon senso comune direbbe che non c’è perché è sempre un intervallo: nella Scuola dell’Infanzia tutto è gioco e quindi non è necessario stabilire un tempo che divida il prima dal dopo. Tutto si svolge in un continuum, da quando si entra a quando si esce; i bambini giocano, cantano, dipingono. Un intervallo di lusso, verrebbe da dire! Purtroppo, talvolta, sembra che lo pensino anche le maestre. Una proposta dopo l’altra, un gioco (appunto) dopo l’altro, un entusiasmo continuo che dovrebbe durare ininterrottamente per otto ore. Ma non sarà un po’ troppo? E infatti i bambini cercano (spesso inventano) spazi e tempi di intervallo. Creano tane, rifugi improvvisati con ciò che trovano o hanno a disposizione: tutto pur di sfuggire, anche solo momentaneamente, all’obbligo dell’attività, alla costrizione del “tutti insieme”, “tutti uguali”. Così li vedi che si infilano sotto un tavolo, portano una seggiolina dietro alla porta, vanno in bagno per chiacchierare “in santa pace” con il compagno preferito che la maestra mette sempre a sedere lontano da loro. A lasciarli stare, ci starebbero delle ore, indisturbati e senza disturbare. Perché è faticoso condividere una stanza per otto ore con altri ventisette/ventotto bambini; è faticoso giocare in spazi inadatti, con poco materiale che va conteso ai compagni più grandi (che lo prendono perché sono più forti) e a quelli più piccoli (che lo prendono perché piangono e chiamano la maestra). E senza neanche un piccolo, breve intervallo per rientrare in se stessi. Quali spazi fisici, quali ambienti, quali numeri per la composizione della sezione sarebbero necessari per creare intervalli? E poi, quando la scuola finisce, il 30 Giugno, si va ai campi-scuola. Già dal giorno dopo: senza... intervallo! L’irrequietezza che caratterizza tanti bambini e tanti adolescenti è una malattia dovuta ad un virus sviluppato in qualche laboratorio segreto o non è piuttosto un disturbo sociale provocato dal “regime” (inteso come insieme di azioni abituali) cui sono “addestrati” ogni giorno? Eppure sappiamo quanto il contrasto sia utile (necessario) nei processi di apprendimento: si impara meglio quando il soggetto è esposto al confronto tra elementi che presentano caratteristiche opposte, siano essi concetti, abilità o comportamenti. La calma può sembrare noiosa: solo dopo la tempesta ci “accorgiamo” della sua positività! Con la collega che lavora insieme a me nella sezione, riflettiamo da tempo sui bisogni autentici dei bambini e sui messaggi che loro ci inviano per comunicarci questi bisogni.
Un altro elemento imprescindibile nella nostra azione educativa riguarda il coinvolgimento dei genitori: da tempo organizziamo laboratori pomeridiani proprio per cercare di realizzare quella condivisione da tante parti auspicata ma così difficile da realizzare. D’altra parte, siamo convinte che la partecipazione attiva delle famiglie costituisca il primo e più grande stimolo per la costruzione di un atteggiamento positivo nei confronti della scuola da parte dei bambini. Vedere i propri genitori interessati a ciò che raccontano tornando a casa, coinvolti nella ricerca del materiale, che comprendono e apprezzano gli elaborati che hanno prodotto, per i bambini rappresenta la conferma dell’importanza di ciò che stanno facendo e imparando a scuola. Così quando si è trattato di realizzare il breve video di saluto che accompagna ogni anno la fine della scuola e gli auguri per una buona estate, ci è venuto naturale usare il layout de “l'intervallo”, un nome che a molti ricorda un pezzo di storia della televisione, ma che i nonni hanno sicuramente nella loro esperienza personale. C’è stato un tempo in cui la televisione era molto diversa da quella che vediamo adesso: la pubblicità era tutta raccolta in un unico spazio ("CAROSELLO") e nel palinsesto si potevano creare dei vuoti di alcuni minuti, impensabili con i tempi frettolosi della tv di oggi. In questi vuoti veniva trasmessa una sequenza di cartoline in bianco e nero di luoghi d’Italia, prevalentemente centri minori: “Sutri (Viterbo), Panorama”, “Spadafora (Messina), Cinta muraria”, “Fiumefreddo Bruzio (Cosenza), Castello medioevale”, e ancora e ancora, in una sequenza ipnotica che sembrava non dover finire mai. Il tutto accompagnato da musica classica arrangiata per orchestra d'archi con arpa solista.  
Ci siamo, allora, divertite ad inserire le foto che i genitori ci hanno inviato dai loro viaggi e gite con i bambini e quelle realizzate durante “la caccia alle torri di Colle” in un filmato che si rifà al ritmo disteso di quella “non-trasmissione”. La Torre è il personaggio che ci ha accompagnato per tutto l’anno inviandoci messaggi e raccontandoci storie e la ricerca delle torri d’Italia, del mondo e di Colle Val d’Elsa ha incuriosito i bambini e ha mantenuto desta la loro attenzione nel passaggio da un mese all’altro; il nostro "intervallo" è, perciò, pieno di torri: dalla Tour Eiffel, alla Torre di Pisa, dal Big Ben a Londra, alle torri di San Gimignano, alla Torre di Arnolfo di Colle, e tante altre. Teniamo a precisare che le immagini non hanno una funzione celebrativa o dimostrativa, come accade molto spesso nei filmati prodotti a scuola. Quelle foto rimandano a momenti gioiosi che hanno creato un legame emotivo positivo e forte tra ciò che avveniva a scuola e ciò che i bambini e le loro famiglie vivevano fuori. Perfino adesso, a scuola finita, continuano ad arrivarci foto di torri dai luoghi dove i bambini stanno trascorrendo le vacanze.

In tempi in cui gli intervalli si riducono sempre di più e le attività si susseguono senza soluzione di continuità, ci è sembrato che “creare” un intervallo (se pure brevissimo) potesse rappresentare un’occasione di riflessione anche per i genitori e uno stimolo a ritagliare intervalli per noi e per i bambini in questi mesi estivi.

 

Scrive...

Paola Conti Insegnante di scuola dell'infanzia. Fa parte del gruppo di ricerca e sperimentazione del CIDI di Firenze con il quale svolge attività di formazione sui temi dell'educazione scientifica e della progettazione didattica.

sugli stessi argomenti

» tutti